Un'intervista con il produttore Antonio Arena.
Quando hai incontrato per la prima volta Terre
Differenti?
Il primo contatto con Fabio Armani, fondatore
ed anima di Terre Differenti, è avvenuto nel 1997,
in occasione del missaggio del disco "Da terre lontane"
degli Advena Avis. Fabio era il leader di quella band
e venne a realizzare il mix nel mio studio. Il progetto
di Advena Avis mi piacque subito, era un mix di temi medievali
ed etnici con sonorità elettroniche molto sofisticate.
Qualcosa che stava tra i Dead can Dance e Loreena McKennit.
Lavorammo per un mese in grande sintonia e il CD che ne
uscì rispecchiava questa atmosfera di entusiasmo.
Dopo quel lavoro ci siamo persi di vista.
Io ho proseguito la mia attività di compositore
di colonne sonore, e nel frattempo ho costituito, con
Silvio Piersanti e Augusto Arena, la Opensound, una casa
editrice ed etichetta discografica indipendente. Fabio
ha portato avanti i suoi progetti musicali estendendo
i suoi interessi e i contatti con artisti di diverse culture
ed esperienze, arrivando a costituire l'ensemble multietnico
di Terre Differenti. Nel 2000 ha prodotto il primo CD
di world fusion dell'ensemble.
Come è nata l'idea di produrre Cities
of Dreams?
Quando con la OPENSOUND abbiamo deciso
di produrre una library di musiche di commento all'immagine,
mi è venuto spontaneo pensare a Fabio Armani. La
sua musica, infatti, ha un naturale coinvolgimento emotivo
ed evocativo che a mio avviso è particolarmente
adatto ad essere collegato a delle immagini. Così
gli ho chiesto del materiale e Fabio mi ha proposto una
serie di brani che stava componendo con Terre Differenti.
La musica che ho ascoltato mi ha entusiasmato al punto
tale che è nata l'idea di realizzare insieme il
secondo CD del gruppo.
Quali sono gli elementi che ti hanno più
entusiasmato?
Sarà semplice comprenderli ascoltando
il disco. Sia la musica che i testi hanno una intensità
emotiva incredibile. I musicisti che hanno partecipato
hanno dato il meglio di se stessi sia da un punto di vista
tecnico che artistico. I riferimenti estetici mi richiamavano
tante mie passioni musicali, come Peter Gabriel, i King
Crimson e i Japan tra il progressive rock, oppure alcune
produzioni ECM come i dischi di Jan Garbarek o degli Oregon
di Ralph Towner per il jazz contemporaneo. Ad esempio
ascoltando il provino di Dance for the Moon sono stato
subito colpito dalle voci di Yasemin Sannino e di Houcine
Ata e dal sax di Marco Conti. Ne ho subito parlato con
i miei partner che hanno sposato il progetto con altrettanto
entusiasmo.
Come avete realizzato il CD?
Non è stato facile, data la complessità
del materiale musicale. Abbiamo iniziato a scegliere i
brani da inserire nel CD e a lavorarci su, sviluppando
gli arrangiamenti per valorizzare il più possibile
i testi e le potenzialità dei musicisti. La preproduzione
è stata lunga ed accurata, e finalmente siamo entrati
in sala per le registrazioni.
La parte elettronica è stata
realizzata nello studio di Fabio e poi siamo andati nel
nostro studio. Le sovraincisioni ed il mix hanno richiesto
vari mesi di lavoro, alcuni brani hanno più di
cento tracce e non è stato uno scherzo venirne
a capo!
Abbiamo lavorato su un sistema Pro-Tools
HD-3 che ci ha permesso di gestire tutta questa complessità
nel migliore dei modi. Comunque abbiamo deciso da subito
di prenderci tutto il tempo necessario per lavorare con
calma, concedendoci di rivalutare le scelte di missaggio
e di decidere solo quando eravamo del tutto convinti.
Quanti musicisti hanno partecipato alle session?
Realmente tanti. Quattro cantanti (anzi
cinque considerando Maria Pia Ionata, un soprano che canta
in "Lost in her World"), un batterista, un percussionista,
due bassisti, due chitarristi, un sassofonista, due violinisti
e ovviamente Fabio al pianoforte e alle tastiere.
E' stato bello lavorare con artisti di
provenienze diverse, sia geografiche che musicali, ognuno
con la propria sensibilità. Abbiamo cercato di
mettere tutti a proprio agio, anche adattandoci a lavorare
con criteri non sempre omologati a quelli che consideriamo
"standard". Ad esempio, registrando il percussionista
egiziano Abdalla Mohamed gli abbiamo lasciato ampia libertà
di espressione perchè potesse liberamente ricreare,
con il suo duff o con la darbukka, i ritmi e l'atmosfera
delle sue terre che tanto bene si sposavano con brani
come "God of Thunder" o "Beyond the Dunes".
E' stata anche una splendida esperienza artistica ed umana
che ci ha fatto crescere e imparare.
Hai parlato del rapporto con i musicisti. Ci
vuoi raccontare qualcosa di particolare a proposito?
Ad esempio è stato molto interessante
lavorare con il batterista Alessandro D'Aloia. Sandro
utilizza un set che, oltre alla dotazione standard della
batteria, comprende alcune percussioni che lui riesce
a suonare con dei pedali aggiunti o che incastra fra i
tom. Questo fornisce una tavolozza di colori e di timbri
che arricchiscono le figure ritmiche di suggestioni etniche
estremamente interessanti, come si può ascoltare
in "Kam ma Kam" o in "Cities of Dreams".
Un'altra esperienza entusiasmante è
stata la genesi del canto di "Splinters of Reality",
in cui Fabio ed io abbiamo convinto Elisabetta Antonini,
la cui estrazione artistica è di ambito jazzistico,
a sperimentare uno stile frammentato, molto ritmico, che
si apre solamente sulla frase "...dreaming of being
alive again...". Elisabetta si è dimostrata
molto flessibile e creativa e ha trovato una chiave interpretativa
che si abbina al testo in maniera stupefacente.
A proposito dei testi, ci hai accennato alla
loro forza evocativa. Di che cosa si parla nel CD?
Il CD, nonostante l'influsso di stili
e culture diverse, è molto unitario nella sua concezione
generale. Ciò è dovuto anche, e forse in
gran parte, alla poetica dei testi. L'album parla del
dualismo, insito in ogni essere umano, tra sogno e realtà,
della convivenza, in ognuno di noi e nell'umanità
in generale, di concretezza materica e di proiezione onirica.
In fondo la Città dei Sogni è
un luogo simbolico, è fuori e dentro di noi, è
l'essenza delle nostre ansie e delle nostre speranze,
e nel CD è spesso legata all'idea del deserto come
terra di origine, come humus primordiale da cui poi la
babele delle lingue e delle culture si è sviluppata
con la varietà e la ricchezza dell'esperienza umana.
Non a caso l'inizio e la chiusura del CD sono caratterizzate
da voci che parlano diverse lingue, dall'urdu al finlandese,
dall'arabo al cinese, dallo spagnolo allo swahili, che
si mescolano tra loro fino a diventare un insieme indistinto
da cui nasce il suono.
In conclusione, che cosa vi aspettate che arrivi
a chi ascolta "Cities of Dreams"?
Il nostro desiderio è che chi
ascolta il CD abbia la sensazione di intraprendere un
viaggio in terre differenti, che possono essere suggestioni
di realtà concrete ma anche di territori interiori,
magari inesplorati, e di cui, in fondo, il fine ultimo
non è la meta da raggiungere ma il viaggio stesso.
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